Tiresia sa
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Tiresia sa

Tiresia sa
Photo by Hadija Saidi / Unsplash

di Jacopo Boschini | Futuro - MacGuffin n. 24

Me lo sono sempre immaginato così: vecchio, barbuto, appoggiato al suo bastone, con due occhi sgranati che scrutano tutt’attorno di continuo, impaurito ogni volta che qualcuno gli si avvicina.

La paura non nasce dal fatto che quel qualcuno gli possa fare del male. Nasce, piuttosto, dalla consapevolezza del male che lui stesso può infliggere a chi, avvicinandosi, gli rivolge la parola: dimmi Tiresia, che cosa mi riserva il futuro?. E dunque eccolo lì, il povero, vecchio Tiresia, intrappolato nel dilemma che lo perseguita: dire o non dire? Rivelare o non rivelare?

Perché Tiresia sa. Sa il futuro degli uomini. Ma sa anche che gli uomini, il loro futuro, non devono conoscerlo.

Ma come è iniziato tutto?

Molteplici sono le storie che lo raccontano. La mia preferita è la seguente.

Tiresia, mentre passeggia per i prati del monte Citerone (monte peraltro su cui succedono cose incredibili, consiglio una capatina se si è alla ricerca di un po’ sano sconquasso interiore) si imbatte in due serpenti che si stanno accoppiando. Forse preso da spavento li colpisce con il bastone e, facendolo, uccide la femmina. Senza che abbia nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo, Tiresia si ritrova immediatamente trasformato in una donna. E donna rimarrà per sette anni, provando tutti, ma proprio tutti, i piaceri che una donna può provare (dato il contesto non posso essere più esplicito di così, ma ci siamo capiti). Poi un giorno, proprio mentre transita dallo stesso punto in cui aveva ucciso il serpente, ecco che si imbatte in un’altra coppia di serpenti, anch’essi impegnati nelle faccende dell’amore. E così Tiresia fa quello che aveva già fatto in passato: li colpisce con il bastone. Facendolo, però, questa volta uccide il maschio e immediatamente riacquista la sua identità (di genere) originale.

Nonostante fossero tempi ricchi di eventi straordinari, e dunque farsi notare non era facile, la prodigiosa doppia metamorfosi di Tiresia suscita un certo interesse, tanto da giungere alle orecchie di Era e di Zeus mentre sono, guarda il caso, impegnati in uno dei loro furiosi battibecchi: lui, Zeus, sostiene che nell’amore siano le donne a provar maggior piacere. Lei, Era, sostiene al contrario che siano gli uomini. Chi meglio di Tiresia può sciogliere in maniera definitiva il dubbio e porre fine al conflitto?

Ora, immaginatevi di:
- trovarvi di fronte a due dei (per inciso, il re e la regina degli dei, mica due dei qualunque);
- che non sono solo dei, ma anche marito e moglie;
- che non sono solo marito e moglie, ma anche sorella e fratello;
- che i due dei in questione stanno litigando su questioni di sesso;
- che nessuno dei due è minimamente disposto ad avere torto.
Insomma, situazione intricata, non trovate? Soprattutto per Tiresia che precipita per la prima volta nel già citato dilemma che lo tormenta: dire o non dire? Svelare o non svelare? Ma anche se sei Tiresia non puoi sottrarti alle domande che gli dei ti pongono. E così sentenzia: il piacere, nell’amore, è composto da dieci parti. Nove parti le prova la donna, una l’uomo.

Tiresia! Ma sei impazzito? Non si rivela mai un segreto di donna! Dovresti saperlo bene tu, che donna lo sei stata!

Apriti cielo.

Era, furiosa, acceca Tiresia per sempre e, stizzita, se ne va via. Zeus, solitamente cinico ed egoista, dimostra un po’ di sana solidarietà maschile. Non potendo ridargli la vista (un dio non può rimediare ai danni di un altro dio) gli dona la capacità di scrutare nel futuro.

Perché me lo immagino riluttante e spaventato nel parlare, il povero Tiresia, ogni qual volta qualcuno gli si avvicina e gli chiede una premonizione?

Perché Tiresia sa che ad ogni suo svelamento corrisponde, sempre e comunque, una tragedia.

Abbiamo un pessimo rapporto con il futuro, noi esseri umani; e Tiresia è lì a ricordarcelo.

Mettiamola così: più che con il futuro (che non essendosi ancora verificato, non esiste), abbiamo un pessimo rapporto con le emozioni che associamo al futuro, tanto da farci fregare da chi, su quelle emozioni, sa far leva. Esempio concreto: gli astrologi (ma potrei dire gli indovini, i cartomanti o tutto il circo Barnum annesso e connesso).

Su cosa ci fregano gli astrologi? Non sulla (presunta) previsione del futuro, ma sul fatto che, attraverso tali (false) previsioni, leniscono le nostre incertezze, le nostre ansie e le nostre paure. Quella strada nera ed imperscrutabile che si srotola davanti a noi, viene brevemente illuminata da squarci di tranquillità e lampi di miglioramento. E laddove invece gli astrologi predicono tempeste, lo fanno sottolineando la loro natura effimera e passeggera e, comunque vada, ne usciremo più forti e maturi. Tranquillizzante anche questo, a ben pensarci: okkeyyyy, le stelle (le carte, i fondi di caffè…) dicono che adesso si traballa un po’, ma poi tutto si aggiusta e tutto andrà bene.

Fosse tutto così semplice, basterebbe smettere di leggere gli oroscopi (tranne quello di Brezsny, mi raccomando).

Ma le cose, ovviamente, sono assai più complesse. Il nostro rapporto con il futuro si fa ancora più problematico quando le nostre ansie e le nostre paure generano scenari catastrofici che noi scambiamo per realtà ineluttabili. Conseguenza di tutto ciò: sicuri che cose brutte stanno per accadere (in realtà non lo sappiamo, ce lo immaginiamo e basta, ma quando si vaga persi per i grandi campi coltivati a pippamenta, distinguere tra realtà certa e scenario possibile è moooolto problematico), iniziamo a comportarci come se ciò che più temiamo sia certo e reale.

Questo approccio al futuro produce quello che chiamo Effetto Samarcanda.

Un soldato se la sta spassando alla grande festa che si tiene per le strade della Capitale quando, all’apice della felicità, gli si presenta il Tristo Mietitore fissandolo con sguardo truce. Il soldato, spaventato, corre dal sovrano e chiede un cavallo per fuggire lontano. E il sovrano, mosso a pietà, gli dona il cavallo più veloce del regno. Il soldato salta in groppa al destriero e via, veloce come il lampo, si rifugia a Samarcanda. Ma una volta giunto lì, ecco che incontra di nuovo il Tristo Mietitore. A questo punto il soldato, stremato e sconfortato, china il capo e si rassegna al suo destino: eri fra la gente nella capitale, so che mi guardavi con malignità, son scappato in mezzo ai grilli e alle cicale, son scappato via ma ti ritrovo qua!

Ma ecco che il Tristo Mietitore, un po’ sorpreso, fornisce la sua versione dei fatti: sbagli, t'inganni, ti sbagli soldato, io non ti guardavo con malignità, era solamente uno sguardo stupito, cosa ci facevi l'altro ieri là? T'aspettavo qui per oggi a Samarcanda, eri lontanissimo due giorni fa, ho temuto che per ascoltar la banda, non facessi in tempo ad arrivare qua.

Oh oh cavallo, oh oh…

In sintesi: fuggire da ciò che temiamo possa succedere, ha come nefasto effetto il generare esattamente ciò da cui si fugge, proprio come il nostro soldato che, temendo di stare per morire, scappa dalla morte. E, scappando, finisce tra le braccia del Tristo Mietitore. E se non fosse fuggito? Sarebbe ancora lì, nella Capitale, a ballare, cantare e bere vino.

Tiresia tutto questo lo sa. Sa che l’Uomo non deve conoscere il suo futuro prossimo. Perché nel tentavo di sfuggirgli, lo genererà.

Nel primo numero del MacGuffin vi ho raccontato la storia di Edipo. Mi sembrava bello, a distanza di un anno, chiudere un cerchio, raccontandovi la vicenda, molto umana, di Tiresia, ovvero di colui che svela la verità ad Edipo stesso.

Che scuse ci dà Tiresia per cambiare?

Fondamentalmente questa: del doman non v’è certezza (o si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, fate vobis). Per cui è inutile incaponirsi in certi comportamenti. È inutile arroccarsi in certe narrazioni di sé o e del mondo. È inutile cedere alla convinzione che le nostre paure sicuramente si realizzeranno. È inutile vivere nel disperato tentativo di controllare tutto e tutti per controllare il futuro; nonostante tutti i tuoi sforzi, tutto andrà come deve andare.

Cerca, sembra dirci Tiresia, di vivere nel momento presente. E impara a fare surf sulle onde della vita, anche su quelle più alte, quelle che fanno tremare le vene ai polsi. È vero, fanno una stramaledetta paura, quelle onde. Ma è la vita, bellezza. E da lassù, per un fugace attimo, si gode una vista strepitosa.

E così si conclude il mio primo anno di MacGuffin. Come avete ormai letto un po’ ovunque, da gennaio il MacGuffin cambia. Sottolineo il momento perché, non conoscendo il futuro, non so chi di voi deciderà di rinnovare l’abbonamento. Spero tutti, ma su questo, purtroppo, non ho controllo. Perciò: a chi lo rinnoverà dico grazie. Grazie di cuore. Significa molto per me e significa molto per tutta AttivaMente.

E dico grazie anche a chi non lo rinnoverà. Grazie per aver letto fino a qui. È stato bello. E spero che prima o poi, da qualche parte nel futuro, le nostre strade tornino ad intrecciarsi.